Seduta a fianco al letto, Rosa parla a sua madre appena morta, Vincenzina Umbriello.
Parla alla sua anima, al suo corpo su cui spia le tracce di tutte le azioni finite, il disegno dei vichi che hanno percorso insieme, vascio dopo vascio.
Le parla e la sente rispondere, le sussurra la vita. Le parla per riparare al guasto che le ha unite oltre il legame di sangue e ha marchiato irrimediabilmente il destino di entrambe.
Rosa rivive l’infanzia della madre, la povertà, i soprusi subiti e inferti, l’usura, la violenza, l’incontro con Rafaele, suo padre, così lontano e diverso, erede triste e solitario di una ricca famiglia.
La compagnia della anime finte di Wanda Marasco è una storia fatta di storie, di anime che vagano tra i vicoli di una Napoli nascosta e millenaria, in cui ribolle l’eterna commedia umana.
Anime rotte in attesa di una riparazione, che lasciano traccia viva e dolorosa nella memoria.
Destini che non si possono aggiustare ed indissolubilmente comuni.
Si chiamava Vincenzina Umbriello e aveva portato questo nome come un boato nella casa sul vico Unghiato, al terzo piano del civico 53. – Bevi, ma’, bevi. Le ultime parole gliele ho rivolte nell’accanimento di sistemarle una cannuccia all’angolo intorpidito della bocca.
Ma ora spio. Comincio a spiare sulla carne le tracce di tutte le azioni finite. Quel piccolo scarabocchio di zucchero indurito, che sta sul bavaglio dall’ultima colazione, la punta dei piedi scolpita sotto il lenzuolo in maniera da sembrare un artiglio reclinato, l’orlato delle clavicole, forse ancora tiepido, la luce della stanza, costretta a reclutare alcune particelle cieche, senza un vero slancio, il crollo generalizzato del panico sopra la carne con cui ha vissuto, gli incisivi che sporgono con una piccola cresta giallastra, i capelli impigliati a un perfetto silenzio, gli occhi carichi di un’acquerugiola sbarrata, le labbra pinzate tra due canaletti di pelle, le mani affondate nell’inazione, una dritta, l’altra lievemente ritorta come in un errore di manovra.
– Ma’, ti devo dire una cosa Non sono io che parlo. È la paura. Sta passando un respiro impaurito tra il suo corpo e il mio. – Fa’ ampressa, sto murenno.
LA COMPAGNIA DELLE ANIME FINTE – WANDA MARASCO
NERI POZZA
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