Mentre l’uomo viveva il tempo come una progressione, dal passato sconosciuto al futuro inconoscibile, per Dio l’intero corso della storia era un eterno presente. Per Dio, il punto dove era caduto il fulmine non era solo il luogo dove un uomo era morto, ma anche il luogo dove in futuro sarebbe morto e dove, nella perfetta conoscenza divina, moriva per sempre. Il deserto rendeva accessibile un mistero come quello.
Sapevo che il ritorno di Jonathan Franzen sarebbe stato epico, confortante e destabilizzante.
Lui è così. Arriva a dirti che è qui, che c’è ancora, che sa che lo stavi aspettando, che sa che ti è mancato, ti riempie di tutte quelle cose che fanno di Franzen tutto ciò che è Franzen, ti fa rientrare nel suo mondo, in quello che ha costruito per te e ti senti a casa, perché lo riconosci. Poi ti spariglia le carte e ti ritrovi a mettere in discussione i concetti di una vita.
Franzen torna ancora una volta alla famiglia per spiegarci il mondo, ne indaga gli aspetti più intimi e inquietanti, seziona i rapporti interpersonali fino a scendere nelle pieghe più nascoste, esplora il concetto di bene e, inevitabilmente, del suo indissolubile legame con il male, e ci chiede perché, quando facciamo del bene, lo facciamo, quale è il motivo per cui, a un certo punto, decidiamo di fare del bene? Il bene esiste davvero come fine ultimo o possiamo dire che sia il bell’involucro di un egoismo ben celato?
La storia degli Hildebrandt, questa famiglia americana del Midwest, costruita sui mattoni di una fede religiosa che plasma ciascun membro a piacimento e lo restituisce al mondo rimodellato in forme imprevedibili e totalmente incontrollabili, mi è sembrata più volte, nel corso della lettura, una storia di debolezza, di mancanza, di crisi spirituale, di sogni spezzati, ma, giunta alla fine, considerato il quadro nella sua totalità, trovo che, in realtà, sia una storia di grande normalità. Franzen ci mostra cose che potrebbero sembrare straordinarie deviazioni dai binari dell’ordinaria esistenza, ma poi ci fa capire che di straordinario non c’è nulla, che siamo così, prendiamone atto.
Il rapporto con Dio è uno dei temi principali, forse il più importante, e non necessariamente perché Russ, il capofamiglia, è il pastore della chiesa locale.
L’argomento Dio non ruota esclusivamente intorno al ruolo di Russ all’interno della comunità di New Prospect, attraversa queste pagine dalla prima all’ultima e viene analizzato in tutte le sue possibili declinazioni.
La fede, la ricerca di Dio, la sua contemplazione, il dialogo, il riconoscere Dio negli altri, o, addirittura, in sé stessi, la fuga da Dio, il rifiuto di Dio, il peccato, la colpa, sono il filo conduttore delle relazioni che compongono la trama di questo romanzo: quelle tra i genitori e i figli, tra fratelli, tra adulti, tra giovani innamorati, giovani alla ricerca di un significato.
Sono proprio i giovani ad avere un ruolo di primo piano in questa storia.
Crossroads è un gruppo giovanile religioso, un gruppo che vuole essere inclusivo, un posto dove i ragazzi socializzano, si esercitano negli abbracci, nel liberare le proprie emozioni, nei confronti one-to-one allo scopo di portare alla luce difetti su cui lavorare e pregi di cui andare fieri, una micro società con ruoli, regole e obiettivi ben definiti, un’organizzazione attiva sul campo, che prende, parte e realizza progetti socialmente utili per altre comunità.
E mentre gli adulti sono alle prese con le loro crisi esistenziali, con i rimpianti e i rimorsi che arrivano dal passato e con nuovi desideri più che leciti o inaccessibili, i ragazzi volgono uno sguardo critico nei loro confronti, non li riconoscono più, ne sono delusi, prendono le distanze, alzano la voce e si delineano nettamente sullo sfondo di un società in pieno fermento.
Sono gli anni 70, l’America è alle prese con una delle guerre più vergognose della Storia. Il pacifismo, la rivoluzione sessuale, la controcultura, la musica sono elementi in cui le nuove generazioni muovono i primi passi verso l’emancipazione da un mondo che non li rappresenta più.
Crossroads, nella magistrale traduzione di Silvia Pareschi, è il primo capitolo di una trilogia che dagli anni 70 arriva fino ai giorni nostri ed è il grande ritorno di un Jonathan Franzen che mi è mancato molto.
E’ un’opera piena, intensa, che ci lascia nelle mani cose su cui lavorare per molto, molto tempo.
Non ci sono pause in questa storia, non ci sono cadute, non ci sono tempi vuoti. Ogni pagina, ogni capitolo è un continuo depositarsi di nuovi elementi su cui riflettere, concetti da riconsiderare. Leggetelo. E abbiatene cura.
CROSSROADS – JONATHAN FRANZEN
EINAUDI EDITORE
TRADUZIONE DI: Silvia Pareschi
PREZZO DI COPERTINA: € 22,00