I libri che ci piacciono, di solito, ci piacciono perché ci emozionano, perché ci fanno scoprire cose nuove, perché, a volte, può capitare che riconosciamo una parte di noi nei protagonisti, fosse anche quella parte che non abbiamo e che vorremmo avere.
Ci piacciono quando sono scritti bene, quando non riusciamo a smettere di leggere, quando li finiamo e poi ci mancano.
Ce ne sono alcuni, poi, che, oltre a tutte queste cose e a molte altre che non ho elencato, lasciano addosso una sensazione che è molto simile al bruciore di una ferita aperta.
Facciamo che ero morta, di Jen Beagin, per me, è uno di questi.
È stata una lettura devastante, e lo è stata nella misura in cui Mona è stato uno specchio dentro cui mi sono guardata e ho visto quel confine sottile che separa luce e ombra.
Facciamo che ero morta è la frase che Mona diceva sempre, da bambina, a suo padre quando, buttandosi in piscina, faceva finta di affogare così che lui corresse a salvarla.
Nel corso degli anni e di come poi la sua vita si è svolta, Mona si è ritrovata spesso a chiedersi se si fosse inventata quel gioco per essere realmente salvata o per permettere a suo padre di salvarla e di riparare, così, a una vita di inenarrabili casini.
Figlia unica di una famiglia disfunzionale, a dodici anni viene mandata a vivere con una cugina del padre, Sheila, che si prende cura di lei come fosse sua figlia e con cui, Mona, una volta cresciuta, comincia a lavorare nell’impresa di pulizia per mantenersi e pagarsi gli studi.
Mona è ossessionata dalla sporco, lo vede ovunque e non può fare a meno di associare, ad ogni tipo di sporco, la migliore tecnica e il miglior prodotto da utilizzare per ottenere un risultato perfetto.
Instancabile e dedita al suo lavoro con passione, il martedì sera presta il suo servizio come volontaria e distribuisce kit sterili ai tossicodipendenti.
È qui che incontra Mister Laido, come lo ha soprannominato, un tossico molto più grande di lei, dall’aria trasandata, sempre silenzioso e sempre in coda con un libro in mano.
Questa cosa dei libri e dell’arrendevole serenità di Mister Laido la fa uscire di testa, tanto da farlo diventare la sua ossessione.
Anche lui non è indifferente a Mona e i due finiscono per buttarsi in una relazione sentimentale che brucia e si consuma così in fretta da lasciare Mona a terra, completamente distrutta.
Per provare a riprendersi e a ricominciare da capo, Mona molla Lowel e il Massachusetts e si trasferisce a Taos, nel deserto del New Mexico, proprio come le aveva suggerito Mister Laido nella sua lettera di addio.
Sullo sfondo di una bislacca comunità di nullafacenti e new ager, Mona ricomincia da capo, sistema vecchi scheletri e protende verso la salvezza, circondata e aiutata da una serie di personaggi bizzarri che avranno un ruolo importante.
Incontriamo così Nigel e Shiori, coppia anglo-giapponese che Mona chiama Yoko e Yoko, non riuscendo a decidere chi dei due dovrebbe essere Lennon e, soprattutto, avendo sempre avuto un debole per Yoko. Se ne vanno tutto il giorno in giro in pigiama, mangiano solo i frutti della loro terra, anche se spesso sono solo erbacce, siedono tutte le sere sul prato per godersi il tramonto in silenzio e dispensano continuamente perle di saggezza.
Poi c’è Betty, la sensitiva, collezionista di bambole inquietanti e ossessionata dall’ex marito, di cui possiede numerose foto scattate di nascosto.
E poi c’è Gesù, un giovane gay che le viene appioppato nel tentativo di farli fidanzare.
Non manca ovviamente il ritorno di quel dannatissimo padre che le ha rovinato l’esistenza e che la costringe, finalmente, a fare i conti con un passato che va chiuso per sempre, perché Mona, adesso, non ha più voglia di fingersi morta.
Brillanti e carichi di significato i dialoghi con Dio, Bob, a cui Mona si rivolge dopo tanti anni come ad un amico immaginario, in cerca di quelle risposte che nessuno le ha mai dato.
Erano quindici anni che non gli rivolgeva la parola. Non sapeva come mai avesse ricominciato proprio in quel momento, ma sospettava che fosse per via del paesaggio. Quel cielo, in particolare, sembrava ispirare naturalmente pensieri bobbeschi. La luce del posto splendeva un po’ ovunque, anche nelle ombre, e la teneva sospesa nel vuoto come un’enorme mano. La mano di Bob. Quando il sole tramontava, quel palmo sudato si apriva e Mona immaginava di avanzare in una delle sue pieghe polverose.
Feroce e schietto, Facciamo che ero morta, di Jen Beagin, è un romanzo che, con impeccabile ironia, celebra i lati fragili dell’esistenza, la solitudine e l’imperfezione degli esseri umani, mettendone in luce, al contempo, quella forza necessaria alla salvezza.
FACCIAMO CHE ERO MORTA – JEN BEAGIN
EINAUDI
PREZZO DI COPERTINA: € 19,00