Nel 1966 il regime comunista di Ceaușescu decretò il divieto di qualsiasi forma di contraccezione o aborto e mise in atto diverse politiche a sostegno dell’incremento del tasso di natalità. Le donne erano chiamate a fare molti figli perché il regime sosteneva che la forza del paese fosse direttamente proporzionale al volume della popolazione. L’aborto era concesso solo alle donne che avessero superato i 42 anni e fossero già madri di quattro bambini, successivamente cinque. Madri con più di cinque figli ricevevano vari benefici, mentre quelle con più di dieci bambini erano dichiarate madri-eroine, ricevevano una medaglia d’oro, un’automobile gratuitamente, trasporto gratuito sui treni e altri bonus.
Il risultato, in realtà, fu che pochissime donne raggiunsero questi obiettivi, mentre la maggior parte di loro morì, o subì pesanti mutilazioni durante l’esecuzione di aborti clandestini. Crebbe inoltre in maniera spropositata il numero di bambini abbandonati alla nascita da famiglie che a stento riuscivano a guadagnare il necessario per mettere insieme almeno un pasto al giorno. La crescita incontrollata del fenomeno dell’abbandono coincise, di conseguenza, con la crescita della popolazione degli orfanotrofi, le cosiddette “Case per bambini”, che spuntarono come funghi su tutto il territorio rumeno e che dell’aspetto di una casa avevano davvero ben poco. I bambini che popolavano questi orfanotrofi erano costretti a subire le più impensabili violenze fisiche e psicologiche, ridotti in una condizione di povertà estrema, il più delle volte sedati per “farli stare buoni”, vittime silenziose e nascoste del dilagante virus dell’HIV a causa delle ripetute micro-trasfusioni di sangue (somministrate per ritemprarne il fisico mal ridotto dalla fame e dai maltrattamenti) proveniente da chissà dove e al di fuori di qualunque controllo. Nella maggior parte dei casi morivano ben prima di raggiungere la maggiore età, unico momento in cui avrebbero potuto lasciare quelle prigioni disumane. Nella maggior parte dei casi la loro morte passava inosservata e nemmeno una tomba poteva restituire loro una parvenza di dignità. Questi figli erano chiamati i figli del diavolo. Tutto questo negli anni ’80. Tutto questo sotto gli occhi del mondo intero.
Elena Cosma vive da sola a Bucarest e lavora come ostetrica in ospedale. Non è sposata, gli anni passano e, pur avendo ormai rinunciato all’idea di un marito, non riesce ad accettare quella di non poter avere un figlio, un bambino tutto suo, da amare ed accudire per tutta la vita. L’occasione le si presenta sotto le sembianze di una bellissima donna dai folti capelli rossi. Zelda P. è appena rimasta vedova e ha già due figli, l’arrivo di un terzo sarebbe solo un problema. Non è difficile per Elena convincerla a non interrompere clandestinamente la gravidanza, ma a portarla a termine fino al momento del parto, momento in cui Elena stessa avrebbe potuto tenere con sé il bambino, in cambio di denaro. Raggiunto l’accordo, Elena finge una gravidanza, imbottendo i vestiti con cuscini sempre più grandi, e, al momento della nascita del bambino ormai tutti, vicini, conoscenti, colleghi di lavoro, hanno fatto l’abitudine a quella strana donna sola, incinta di chissà chi.
All’inizio tutto va avanti perfettamente, anche se il contrasto tra l’aspetto di Elena, una donna possente, dai capelli scuri, e quello di Damian, un bambino dai tratti delicati e la capigliatura rosso fuoco, è davvero troppo accentuato, ma le visite di Zelda, sempre più frequenti, convincono l’ostetrica a decidere di lasciare Bucarest per una destinazione più isolata e protetta: Prigor, un paesino sperduto della Moldavia.
Anche qui però i sospetti non tardano ad arrivare.
La vita di Elena si svolge così tra l’ossessione di proteggere Damian a tutti i costi, per non rischiare di perderlo, e i compromessi a cui deve scendere per mantenere intatto il suo segreto: una faticosa e tormentata alleanza con il sindaco del paese, il Despota, il lavoro al dispensario nel pieno rispetto delle discutibili leggi del regime, la collaborazione all’orfanotrofio appena sorto fuori paese, dove, nonostante i rimorsi di coscienza, deve voltare lo sguardo davanti alle ripetute violenze perpetrate ai danni dei bambini abbandonati. Tutto per proteggere quel suo figlio, che non è un figlio del Diavolo, ma un figlio di Dio.
Figli del diavolo di Liliana Lazar è un romanzo duro, che non molla, dalla prima all’ultima pagina, che si deve leggere senza sosta, che non risparmia alcun dolore e che fa riflettere in maniera lucida sul livello di spietatezza che la natura umana può raggiungere in favore degli interessi personali.
FIGLI DEL DIAVOLO – LILIANA LAZAR
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