Roma, zona Piazzale Ponte Milvio, dicembre 2008.
Piove da sempre, ormai.
Il Tevere è in piena e rischia l’esondazione.
Corrado Marini, proprietario di una bottiglieria, e Carmen, la moglie, invitano a cena Gaspare, titolare del negozio di cornici poco distante dal loro.
Terminata la cena, Carmen propone il gioco della verità, durante il quale Gaspare svela un terribile segreto che riguarda la morte di sua moglie, il cui cadavere fu trovato nel Tevere, gonfio e sbiadito, alcuni anni prima.
Il segreto svelato è talmente scioccante da mettere in crisi il rapporto di Corrado e Carmen, un rapporto fatto di quotidiana normalità.
Entrano in gioco personaggi affascinanti, che finiranno per essere inevitabilmente legati tra loro, accomunati da Gaspare e dal suo sconvolgente segreto.
Mi è piaciuta molto Irene, la figlia di Gaspare, una ragazza bella e fragile, che trova in una vita sessuale sregolata l’unica via d’uscita al male di vivere che l’ha portata a tentare il suicidio.
Di lei si innamora il povero Matteo, il libraio della piazza che, pur sapendo che Irene non vorrà mai ricambiare il suo amore, è disposto a tutto pur di farle cambiare idea, anche a scoprire e poi svelare il tragico segreto che avvolge la morte della madre, del cui ritrovamento, per pura coincidenza, ne è stato testimone.
Una coincidenza che per lui non può solo essere tale, deve avere un significato più profondo.
Ho amato molto questo libro. Ha fatto scattare la molla della riflessione su alcuni aspetti della vita troppo spesso dati per scontati.
Per esempio, l’incipit del secondo capitolo
La forma dei genitori preme sotto la pelle dei figli e li degenera. L’immagine e la somiglianza fanno intenerire nella culla, poi diventano condanna: davanti a uno specchio oppure invecchiando, quando la distanza con chi ci ha generato diminuisce, fino a coincidere nei dettagli più infimi.
Non ci avevo mai pensato prima, o forse ci avevo pensato, ma non mi ero mai fermata veramente a rifletterci bene.
È così, è proprio così.
È così quando sgrido i miei figli usando le stesse parole che mia madre ha sempre usato con me.
È così quando piego la biancheria esattamente come lo fa lei, quando una cosa la devi cucinare per forza in un certo modo perché lei l’ha sempre cucinata così.
È così in un sacco di cose che, più divento grande, più aumentano.
È terrificante.
Oppure quando, ad un certo punto, Irene dice alla sua psicologa
penso che la vera condanna sia sopravvivere ai propri genitori, alla propria madre, in particolare. Sembra vero il contrario, sembra che il corso naturale preveda che i figli seppelliscano i genitori e invece io credo che non sia così. Un figlio non dovrebbe mai seppellire la propria madre, quello sì che è un atto contro natura. Una madre lo sa cosa significa vivere senza un figlio, ma un figlio? Un figlio no. Un figlio è nato figlio e non lo sa che cosa significa vivere senza essere più un figlio.
È una prospettiva alla quale non siamo abituati.
Ci hanno sempre insegnato che il ciclo della vita prevede di veder morire prima le persone più vecchie e che un genitore che sopravvive ad un figlio sia un’atrocità contro natura.
Forse non è così.
Gli eroi imperfetti, di Stefano Sgambati, è un romanzo che ti tiene stretto, scavando profondamente sotto la sottile e fragile superficie della nostra falsa normalità.
GLI EROI IMPERFETTI – STEFANO SGAMBATI
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