“Siamo nello spazio. Siamo su un pianeta. Interessarsi allo spazio vuol dire interessarsi a noi.”
Queste sono le parole che la poeta Ada Limón ha pronunciato quando le è stato chiesto un poema da lanciare nello spazio alla volta di Europa, la quarta luna di Giove.
La quarta luna di Giove… Giove ha un botto di cose che gli girano intorno e il solo pensiero a me fa venire le vertigini. Tutto mi fa venire le vertigini, quando penso all’infinitamente grande e all’infinitamente piccolo di ogni infinita cosa contenuta in quello che in modo davvero riduttivo chiamiamo spazio.
Ma mai, mai prima d’ora, prima di leggere questo libro, avevo provato la stessa sensazione di vertiginoso stupore con lo sguardo rivolto al percorso inverso, dallo spazio verso la Terra.
“La Terra è la risposta a tutte le domande. La Terra è il volto di un innamorato felice ; la gaurdano dormire e svegliarsi e si perdono nelle sue abitudini. La Terra è una madre che aspetta il ritorno dei suoi figli, pieni si storie, di estasi, di nostalgia.”
Sei astronauti, più precisamente quattro astronauti e due cosmonauti, la cui differenza, che non conoscevo, sta solo nel paese di origine (semplificando molto, i cosmonauti sono coloro il cui paese di origine o il paese di origine dell’agenzia spaziale cui appartengono è la Russia, o ex Unione Sovietica; gli astronauti sono tutti gli altri), viaggiano a bordo di una stazione spaziale in orbita attorno alla Terra.
Quattrocento chilometri li separano dalle loro vite, dalle loro case, dalle loro famiglie. Ma quando sei lassù, in una grande H di metallo sospesa sopra la Terra, a ventottomila chilometri all’ora, i concetti di vita, casa e famiglia si trasformano. Questa è la tua vita, quella che hai sempre sognato, fin da bambino, questa è la tua casa, questa è la tua famiglia.
“Resteranno così per nove mesi, nove mesi a fluttuare, nove mesi di testa gonfia, nove mesi di questa vita da sardine, nove mesi a osservare la Terra a bocca aperta, per poi tornare giù, al pianeta paziente.”
Anton è il cuore dell’astronave, Pietro la mente, Roman le mani, Shaun l’anima, Chie la coscienza, Nell il respiro.
Li osserviamo lungo l’arco di ventiquattro ore, le nostre ventiquattro ore, che lì si trasformano in sedici orbite intorno alla Terra, sedici volte un giro completo attorno a noi, un’alba e un tramonto ogni novanta minuti.
Li osserviamo consumare pasti disidratati, allenarsi per non perdere massa, svolgere i compiti quotidiani che sono stati loro assegnati, imparare a condividere spazi angusti, soffrire di nostalgia e lontananza, ricevere brutte notizie dalle loro case terrestri, osservare, studiare e analizzare impotenti un tifone che si sta abbattendo sulla Terra e che costerà molte vite, stupirsi, rimanere a bocca aperta e innamorarsi a ogni alba, tramonto, luce e oscurità, mancanza di confini e sogni di pace, che ad ogni momento si dispiegano sotto i loro occhi in uno scenario mozzafiato.
A dirla tutta, sono loro che osservano noi, ci guardano dormire e poi svegliarci, ci osservano con uno stupore negli occhi che è difficile da descrivere, uno stupore che, nonostante il panorama infinitamente ripetitivo, si rinnova uguale, se non più potente, ogni singola volta.
Quello che ci restituiscono, quello che Samantha Harvey ci regala, attraverso gli occhi e le sensazioni dei protagonisti, è un meraviglioso canto d’amore, verso l’universo, certo, ma, soprattutto, verso la Terra, che, osservata da lontano, diventa un gioiello prezioso e precario, un paradiso da proteggere.
Non mi vergogno a dire che, leggendo, più di una volta ho fatto fatica a trattenere le lacrime. Pagina dopo pagina, la commozione sale, la prospettiva si rinnova e si scopre che è possibile scrivere l’esistenza in base al futuro che riusciamo a sognare.
ORBITAL – SAMANTHA HARVEY
NNEditore
TRADUZIONE DI: Gioia Guerzoni
PREZZO DI COPERTINA: € 18,00