Il timore reverenziale con cui ho sempre guardato ai romanzi di Emmanuel Carrère ha fatto sì che io me ne tenessi alla larga. Fino ad ora.
La paura di non comprenderne la portata, di non riuscire ad entrare in sintonia con la sua scrittura, mi spaventava a tal punto da farmi pensare non tocco per non sciupare.
Poi è arrivato questo libro e le parole per dire grazie non saranno mai abbastanza.
Vite che non sono la mia è una testimonianza del dolore, la decisione di mettere nero su bianco, di raccontare, il dolore altrui, un dolore ben preciso, accaduto in due specifiche circostanze, che affronta una delle nostre più grandi paure, se non la più grande in assoluto: la morte.
In questo caso, la morte di un figlio per i suoi genitori e la morte di una giovane madre per i suoi figli.
Carrère si trovava in Sri Lanka con la compagna e i figli nel momento in cui, nel dicembre del 2004, lo tsunami si è abbattuto sulle coste del Pacifico causando la morte di centinaia di migliaia di persone.
Pur essendo veramente vicini alla catastrofe, loro si sono salvati, ne sono usciti indenni e si sono ritrovati a sostenere una famiglia di connazionali, con i quali avevano trascorso diversi momenti piacevoli durante la vacanza, nell’affrontare la perdita della loro figlia Juliette, di soli quattro anni, una vittima dell’onda, e nello sbrigare le strazianti pratiche per il rimpatrio della salma.
Tornati a casa, un’altra vicenda dolorosa era lì ad aspettarli: l’ultima parte del terribile percorso che avrebbe portato alla morte per cancro di un’altra Juliette, la sorella di Hélène, la sua compagna.
Quella Juliette a cui la vita non aveva risparmiato quasi nulla, era un grande giudice, impegnata, insieme ad Étienne, nella lotta alle finanziarie, al fianco delle vittime del sovraindebitamento.
Ed è proprio dopo aver parlato con Étienne, dopo aver capito il significato dell’amicizia che li legava, delle esperienze della vita che li aveva uniti, del rispetto e della stima professionale reciproca, che Emmanuel Carrère decide di raccontare, di eseguire il compito che la vita, rendendolo testimone, gli ha assegnato, perché c’è un solo modo per ricevere il dolore degli altri: dargli voce, farlo diventare il proprio dolore.
La testimonianza dei gesti, delle parole, degli sguardi, il racconto da vicino di qualcosa che è successo a qualcun altro mi ha portato inevitabilmente a riflettere sul mio livello di empatia, sulla mia capacità, proprio in termini di capienza, di essere empatica.
Se e quando riusciamo, non tanto a farci carico, ma a capire il dolore altrui, quanto dura tutto questo? Quanto possiamo farlo durare? Quanto è giusto che stia dentro la nostra vita?
Non ho le risposte, ma solo me stessa, la mia sensibilità, la mia vita condotta nella consapevolezza di essere la piccola parte di un tutto incommensurabile e la speranza di essere abbastanza.
Vite che non sono la mia è un romanzo veramente intenso e travolgente come mi era stato detto e adesso, finalmente, l’amore ha superato il timore, Carrère entra di diritto tra i miei preferiti e ho già messo in atto un piano di recupero immediato.
VITE CHE NON SONO LA MIA – EMMANUEL CARRÈRE
ADELPHI
PREZZO DI COPERTINA: € 19,00